Hai mai notato che se cerchi informazioni su ciclo mestruale, contraccezione o piacere femminile su Instagram o TikTok… alcuni contenuti spariscono?

Post oscurati, video rimossi, account penalizzati. Succede anche quando si parla di educazione, medicina, benessere.

No, non è un bug: è censura.

Il paradosso?

Su quei social dove puoi trovare contenuti super spinti, le parolevulvao mestruazionivengono trattate come se fossero volgari. Come se il corpo femminile fosse automaticamente “sessuale” solo perché esiste.

Sessualità ≠ Sessualizzazione

C’è una differenza fondamentale che le piattaforme spesso ignorano: parlare di sessualità non significa sessualizzare.

Raccontare come funziona il ciclo mestruale, spiegare cosa succede durante l’allattamento o parlare di consenso e piacere non ha nulla a che fare con contenuti erotici o pornografici.

Sessualità è conoscenza, educazione, salute. Sessualizzazione è quando il corpo viene ridotto a oggetto, messo in mostra solo per attrarre o provocare. Due mondi diversi. Eppure, agli algoritmi sembra tutto uguale.

E a pagarne le conseguenze sono creatori di contenuti, ostetriche, divulgatrici, ginecologhe e tutte le persone che cercano — o offrono — informazione vera e accessibile.

Secondo un report del Center for Intimacy Justice (CIJ), pubblicato nel gennaio 2022, il 100 % delle 60 organizzazioni studiate, tutte impegnate nella salute sessuale e riproduttiva femminile, ha visto almeno una pubblicità rifiutata o un account pubblicitario sospeso su Facebook o Instagram.

In seguito a questa indagine, Meta ha modificato le sue policy nell’ottobre 2022, dichiarando di ammettere annunci relativi a contraccezione, pianificazione familiare, menopausa e salute sessuale – a condizione che fossero rivolti a utenti di età superiore ai 18 anni.

Tuttavia, nonostante questi cambiamenti, CIJ e altre organizzazioni hanno segnalato che molte pubblicità continuano a venire sistematicamente bloccate, dimostrando che la pratica discriminatoria nei confronti degli annunci medici e scientifici su salute femminile non si è completamente arrestata.

Cosa viene censurato dai social?

Basta provare a scrivere “vulva” in un post per rischiare la rimozione del contenuto.

Post informativi su contraccezione, mestruazioni, vaginite, pap test, aborto, allattamento, endometriosispesso vengono segnalati, oscurati, silenziati.

Anche l’educazione al piacere, quando affrontata con linguaggio medico o divulgativo, viene confusa con pornografia.

Il risultato è che molte parole “normali” vengono modificate per sfuggire ai filtri: così “vulva” diventa “v*lva”, “sesso” diventa “s3sso”.

Ma come si fa a educare davvero, se bisogna censurare i termini giusti?

Sai che...? Su Instagram, la parolanipples” (capezzoli) è tra le più bloccate nei post con contenuti che parlano di allattamento.

Eppure, la stessa piattaforma permette contenuti di chirurgia estetica con immagini esplicite non censurate.

I video di chirurgia estetica – considerati “sexy, glamour o sexy-enhancing” – vengono lasciati online. Una vera contraddizione.

Le conseguenze della censura digitale

Quando l’educazione alla salute viene zittita, resta spazio solo per il silenzio, il tabù, la vergogna. 

La censura blocca l’accesso a informazioni importanti e alimenta la disinformazione, rinforzando lo stigma e impedendo a ragazze, ragazzi e persone di ogni genere di conoscere il proprio corpo, fare scelte consapevoli e sentirsi rappresentati. 

In un mondo dove i social sono uno dei primi canali di informazione, non poter parlare liberamente di salute sessuale e riproduttiva è un problema reale. 

È come se ci fosse un cartello con scrittonon ne parliamo” proprio dove servirebbe il contrario: apertura, chiarezza, ascolto.

Il fenomeno ha un impatto soprattutto sulle persone più giovani, che cercano risposte online e spesso non trovano contenuti chiari, oppure ne trovano di sbagliati o sensazionalistici. 

La conseguenza? Miti e falsi allarmi che si diffondono più facilmente delle informazioni corrette.

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Verso una cultura digitale più inclusiva

Cultura digitale inclusiva

C’è assoluta necessità che le piattaforme social facciano uno scatto in avanti. Serve distinguere tra pornografia e contenuti educativi.

Serve un algoritmo che sappia riconoscere la differenza tra un reel informativo di un’ostetrica e un video sessualizzato.

Serve spazio per chi vuole fare divulgazione, raccontare la propria esperienza, parlare di salute senza paura di essere bloccato.

Una cultura digitale inclusiva è quella che non censura, ma ascolta, che sia in grado di proteggere davvero gli utenti, anche dai pregiudizi.

Quello di cui abbiamo bisogno è un cambio di prospettiva: gli algoritmi e i moderatori devono imparare a riconoscere la differenza tra medicina e pornografia.

Occorre un sistema che permetta la divulgazione scientifica sul corpo, la salute e la sessualità senza mettere paura a chi parla in modo medico.

Le piattaforme dovrebbero offrire uno spazio sicuro dove chi fa divulgazione – ginecologhe, ostetriche, sessuologhe – possa lavorare senza interruzioni. Il futuro deve e può andare verso una cultura digitale inclusiva.

Parlare di salute femminile non deve essere un atto di coraggio, bensì la normalità. Il corpo femminile non è un tabù e la sessualità non è pornografia.

Informarsi, educare, condividere esperienze è un diritto. E anche online dovrebbe esserlo.

Rendere visibili questi temi è il primo passo per costruire una generazione più libera, più consapevole, più forte.

E allora cosa possiamo fare noi?

Possiamo partire dalle parole. Possiamo scegliere di non aggirarle, di non evitarle. Che siano scritte con asterischi, simboli o per esteso: usiamole.

Perché “vulva”, “mestruazioni”, “contraccezione”, “orgasmo”, “pillola del giorno dopo” non sono termini volgari: sono concetti legati alla salute, all’identità, alla conoscenza del proprio corpo. Usarli vuol dire dare loro voce, significato, dignità: è un atto di responsabilità, non di provocazione.

Prendiamo la contraccezione d’emergenza: parlarne in modo chiaro e senza pregiudizi può fare la differenza tra consapevolezza e disinformazione.

E invece, anche contenuti che spiegano come funziona vengono ancora oggi rimossi o penalizzati dalle piattaforme, pur essendo scritti da professionisti del settore con linguaggio medico e dati verificati.

Eppure, rendere accessibili queste informazioni è un diritto: spesso è anche l’unico mezzo per arrivare alle persone più giovani.

Vuoi conoscere la differenza tra la pillola del giorno dopo e quella dei 5 giorni dopo o semplicemente sapere tutto sulla contraccezione di emergenza? 

Scopri la nostra categoria dedicata, qui→ Contraccezione di emergenza

Possiamo sostenere chi ogni giorno lotta contro l’ignoranza algoritmica e culturale: ostetriche, ginecologhe, sessuologhe, divulgatrici e divulgatori che creano contenuti utili, chiari, scientifici.

Possiamo condividere i loro post, farli arrivare a chi ne ha bisogno, segnalare quando un contenuto viene rimosso ingiustamente.

Possiamo parlare apertamente di questi temi con amiche, figli, partner, colleghi, rompendo quel silenzio che spesso comincia nella sfera privata, ben prima che nei feed social.

Possiamo educarci, formarci, porci domande. Possiamo scegliere fonti autorevoli, pretendere un’informazione libera e corretta.

E possiamo chiedere alle piattaforme maggiore responsabilità: nel costruire algoritmi che sappiano distinguere tra pornografia e salute, nel proteggere chi fa divulgazione, nel creare spazi digitali dove parlare di corpo, piacere e salute non sia un atto rischioso ma semplicemente... normale.

Perché normalizzare significa togliere potere al tabù. E ogni volta che scegliamo di informare anziché censurare, ascoltare anziché giudicare, condividere anziché silenziare, stiamo costruendo un internet e una cultura più inclusivi, più equi, più giusti.

Il corpo femminile non è indecente. La sessualità non è pornografia.

Parlarne è un diritto. E come tutti i diritti, va difeso. Anche online.

articolo a cura di

Paola Toia

Giornalista

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Content Editor e Digital Specialist laureata in Lingue e Comunicazione. Scrive e si occupa di social strategy e coaching in ambito content marketing. Online racconta la sua vita tra viaggi, famiglia e lavoro.