A volte, sentirsi confus* non è un caso. Se inizi a dubitare delle tue emozioni, dei tuoi ricordi o perfino della tua lucidità mentale, non è perché stai esagerando, ma perché qualcuno ti sta portando a farlo.

Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica che lavora nel tempo, in silenzio, sotto la superficie e può stravolgere la percezione di sé fino a spegnere l’identità di una persona.

Solitamente associato alle relazioni di coppia, il gaslighting, in realtà, si manifesta anche in contesti familiari, scolastici, lavorativi e sociali.

Può arrivare da un genitore, da un* amic*, da un* superiore o da un gruppo. E quando accade, chi lo subisce tende a minimizzare, a pensare che sia solo stress, che forse è davvero “troppo sensibile”.

Questo rende il gaslighting ancora più difficile da riconoscere e affrontare.

In questo articolo, analizziamo cos’è, davvero, il gaslighting, quali segnali permettono di identificarlo, dove si nasconde oltre la coppia, quali sono i suoi effetti psicologici e, soprattutto, come iniziare a difendersi.

Perché credere alla propria realtà è il primo passo per tornare a sentirsi liberi.

Cos’è il gaslighting?

Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica tanto sottile quanto distruttiva.

Chi la subisce, spesso, senza rendersene conto, comincia a dubitare delle proprie emozioni, dei propri ricordi e persino della propria sanità mentale.

È un meccanismo subdolo che si insinua nella relazione in modo graduale, portando la vittima a sentirsi sempre più confusa, insicura e dipendente dal giudizio dell’altro.

Il termine ha origini cinematografiche: viene dal film Gaslight del 1944, in cui un marito cerca di far impazzire la moglie modificando piccoli dettagli nella casa (come l’intensità delle luci a gas) e negando, costantemente, che qualcosa sia cambiato.

Questo esempio è diventato emblematico di una dinamica ben più comune di quanto si pensi, in cui la realtà percepita dalla vittima viene sistematicamente invalidata.

Nel gaslighting, il manipolatore agisce con costanza e metodo. Non alza la voce, spesso non insulta.

Al contrario, può sembrare razionale, talvolta persino amorevole. Ma dietro frasi come “Te lo sei inventato”, “Stai esagerando come sempre” o “Non è mai successo, hai dei problemi” si nasconde un attacco diretto alla percezione della realtà dell’altro.

Diversi studi hanno descritto come il gaslighting possa generare un senso persistente di confusione e perdita di fiducia in se stessi.

Ad esempio, è stato osservato che le vittime tendono a sviluppare sintomi simili a quelli del disturbo da stress post-traumatico, come ipervigilanza, colpa e indecisione.

I segnali? Sono più comuni di quanto immaginiamo.

Chi subisce gaslighting spesso chiede scusa anche quando non ha colpe reali, si isola perché non si fida più del proprio giudizio e arriva a pensare di essere “troppo sensibile” o “difettoso”.

Non è raro che, anche di fronte a fatti oggettivi, la vittima scelga di dubitare di sé piuttosto che mettere in discussione la persona che la manipola.

Per esempio, se racconti a un amic* che ti senti ferito da una frase che ha detto e ti risponde: “Ma dai, non ti ho mai detto una cosa del genere. Sei paranoic*”, potresti cominciare a chiederti se hai davvero frainteso.

Se questa situazione si ripete nel tempo, inizi a mettere in dubbio anche ricordi che prima ti sembravano chiari.

È proprio questa la potenza del gaslighting: non urla, ma sussurra. Non colpisce subito, ma lavora in profondità, fino a riscrivere la tua percezione di chi sei e di ciò che hai vissuto.

Quando il gaslighting va oltre la coppia

Pensare che il gaslighting sia un problema solo di coppia è un errore comune.

In realtà, questo tipo di manipolazione può manifestarsi ovunque ci siano relazioni di potere o fiducia: in famiglia, sul lavoro, a scuola, nei gruppi sociali e persino in contesti religiosi.

Nel contesto familiare, il gaslighting può iniziare molto presto.

Un genitore che dice frasi comeTi inventi sempre tutto”, “Stai facendo la vittima”, oppure “Non hai nessun motivo per essere tristeinvalida, costantemente, il vissuto emotivo dell* figli*.

Questo tipo di dinamica, se ripetuta nel tempo, può portare l* bambin* a crescere con l’idea che i propri sentimenti non siano affidabili, generando confusione identitaria e insicurezza emotiva.

Ma non sono solo i genitori: anche fratelli o sorelle possono attuare forme di gaslighting per ottenere attenzione o controllo, ad esempio mettendo in dubbio ciò che uno racconta davanti ai genitori o ridicolizzando continuamente le sue reazioni, per poi negare di averlo fatto.

Nel mondo del lavoro, invece, il gaslighting prende forme meno emotive ma altrettanto dannose.

Sara Susani, Psicologa

Un capo che nega di aver dato istruzioni specifiche, o che minimizza risultati evidenti attribuendoli ad altri o al caso, mina la sicurezza professionale del dipendente.

Anche nei gruppi sociali più ampi, religiosi o scolastici, può emergere una forma di gaslighting collettivo.

Può accadere, ad esempio, quando un gruppo o un leader invalida, sistematicamente, il pensiero critico o le emozioni di chi prova a dissentire.

Frasi come “Sei troppo sensibile”, “È solo nella tua testa” o “Tutti la pensano diversamente da te” diventano strumenti di esclusione e manipolazione.

Questo porta chi è nel mirino a sentirsi sbagliat*, fuori posto e, col tempo, ad adattarsi pur di essere accettat*.

Che sia in famiglia, al lavoro o tra pari, il meccanismo è sempre lo stesso: far dubitare l’altra persona della propria realtà.

E il risultato, purtroppo, è sempre simile: una persona che lentamente smette di fidarsi di sé stessa.

Gli effetti psicologici del gaslighting

Quando una persona subisce gaslighting per un periodo prolungato, le conseguenze non si limitano alla confusione del momento. Col tempo, l’effetto più devastante è la perdita di fiducia in sé stess*.

Chi vive questa forma di manipolazione psicologica arriva a dubitare delle proprie percezioni, dei propri sentimenti e perfino della propria memoria.

È come vivere in una realtà in cui non si ha più il permesso di credere a ciò che si prova.

Uno degli impatti più rilevanti è lo sviluppo di un senso cronico di inadeguatezza.

La persona comincia a sentirsisbagliata”, anche quando razionalmente non ci sono motivi concreti.

Questo stato emotivo può portare a provare un’ansia continua, una vergogna difficile da esprimere e un senso di colpa che sembra non andarsene mai del tutto.

In pratica, il gaslighting colpisce la base stessa dell’identità e del valore personale.

Uno degli aspetti più gravi è la perdita dell’autoefficacia.

Significa che la vittima, dopo essere stata esposta a continue invalidazioni e manipolazioni, fatica a prendere decisioni in autonomia.

Anche scelte semplici diventano fonte di insicurezza. Si sviluppa una vera e propria dipendenza psicologica dal manipolatore: la persona inizia a pensare di aver bisogno di lui o lei per capire cosa è giusto o sbagliato.

Questa dinamica si rafforza nel tempo, perché più la vittima si sente incapace, più cerca conferme all’esterno e più diventa vulnerabile.

Il rischio è quello di entrare in un circolo vizioso in cui la propria voce interiore viene zittita, fino a sembrare irreale.

Il gaslighting si configura come un vero e proprio elemento di violenza psicologica che ha un impatto concreto sulla salute mentale, in particolare nei contesti in cui la vittima si trova in una posizione di vulnerabilità o dipendenza.

Gli effetti del gaslighting non sono visibili come un livido, ma possono lasciare segni profondissimi sulla salute mentale.

Per questo riconoscerli e parlarne è il primo passo per interrompere questo tipo di abuso emotivo.

Come riconoscere e interrompere il gaslighting

Come riconoscere il gaslighting

Il primo passo per uscire da una dinamica di gaslighting è accorgersene. Ma non è affatto semplice, soprattutto perché chi subisce questa forma di manipolazione, spesso, è portato a pensare che il problema sia dentro di sé, non nella relazione.

Il gaslighting si nutre proprio del dubbio: ti fa sentire inadeguat*, troppo sensibile, confus*. E più ci caschi, più ti allontani dalla tua verità interiore.

Per questo è fondamentale, appena si avverte un senso costante di disagio o confusione nella relazione con una persona, iniziare a raccogliere prove della propria esperienza.

Un modo efficace è tenere un diario. Non serve scrivere pagine su pagine: basta annotare episodi precisi, frasi dette, reazioni provate.

Vederli nero su bianco aiuta a rimettere a fuoco la realtà, distinguendo i fatti dalle distorsioni che il manipolatore cerca di imporre.

Confrontarsi con qualcun* di esterno e di fiducia è un altro passo importante.

Spesso, ci si rende conto della gravità della situazione solo quando qualcun altr*, magari un* amic* o un* familiare, ci fa notare che ciò che stiamo vivendo non è normale.

Anche qui, però, serve delicatezza: chi è vittima di gaslighting può essere portat* a difendere chi lo/la manipola.

Non per debolezza, ma perché quella relazione è diventata una fonte di senso, seppur tossico.

La psicoeducazione può essere una risorsa potente.

Leggere, informarsi, ascoltare testimonianze permette di dare un nome a quello che si sta vivendo. E questo è il primo passo per iniziare a uscirne.

Sara Susani, Psicologa

Chiedere supporto psicologico a un professionista è spesso necessario.

Il terapeuta non “ti dice cosa fare”, ma ti accompagna a ricostruire la tua identità, a riscoprire la tua voce interiore.

Perché uscire dal gaslighting non è solo una questione di forza: è un processo graduale, fatto di piccoli passi, di consapevolezze che tornano, di confini che si ridefiniscono.

È proprio il concetto di confine quello che va rieducato: imparare a dire no, a riconoscere i propri bisogni, a non giustificarsi continuamente.

Serve ricostruire un dialogo interiore più gentile e stabile. E questo spesso inizia da una domanda semplice ma potente: “Se una persona a cui voglio bene vivesse quello che sto vivendo io, cosa le direi?

Credere alla propria realtà è un atto di coraggio

Uscire da una relazione in cui si è subìto gaslighting non è facile e nemmeno immediato.

È un processo fatto di consapevolezza, di piccoli gesti quotidiani per riconnettersi alla propria verità, alla propria memoria, alle proprie emozioni.

Credere a ciò che si sente, anche quando l’altro lo mette in dubbio, è un atto di resistenza.

Nessun* merita di sentirsi annullat*, invalidat* o trattat* come se ciò che prova non avesse valore.

Se ti ritrovi in queste parole, sappi che non sei sol*.

Parlane, informati, cerca supporto. Più impariamo a riconoscere queste dinamiche, più possiamo evitarle e costruire relazioni in cui sentirci vist*, rispettat* e al sicuro.

Difendere la propria realtà non è egoismo: è un atto di amore verso sé stess*. E ogni volta che scegli di fidarti di ciò che senti, stai già rompendo il ciclo.

articolo a cura di

Sara Susani

Psicologa

Dott ssa sara susani

Sara Susani è psicologa e psicoterapeuta in formazione. Si occupa di benessere psicologico e comunicazione, unendo pratica clinica e scrittura per rendere accessibili temi complessi legati alla crescita personale.