Ti è mai capitato di dover abbassare la voce parlando di “mestruazioni”?

Di nascondere istintivamente l’assorbente nella manica come fosse qualcosa di segreto da far passare inosservato?

O di startene zitt* durante una giornata terribile perché non vuoi sentirti obbligat* a spiegare che il tuo utero ti sta distruggendo dall’interno?

Se ti riconosci in queste situazioni sappi una cosa: non sei sol*. E, soprattutto, non dovrebbe essere così.

Parlare del proprio ciclo mestruale dovrebbe essere la normalità, senza paura o vergogne. Invece, per molte persone rimane ancora un tema tabù.

Un argomento scomodo, da tacere o di cui vergognarsi. Ma perché viviamo le mestruazioni in questo modo? C’è un modo per liberarci da questa vergogna?

E se ti dicessi che si tratta di un fenomeno culturale?

Sì, un’altra domanda. Ma è propedeutica per darti una (vera) risposta.

La vergogna legata alle mestruazioni colpisce milioni di persone, sin dalla prima volta che si trovano ad averci a che fare, ma il ciclo mestruale è un processo naturale, fisiologico.

Ci troviamo ad avere disagio per una parte integrante della salute riproduttiva, il che è un problema.

Dove nasce la vergogna mestruale? Un’eredità antica (e tossica)

Questa spiacevole sensazione di vergogna non è da imputare alla società di oggi, ma non è nemmeno un qualcosa causato in poco tempo. È il risultato di secoli di tabù, silenzi e narrazioni sbagliate.

La donna, o persona, con mestruazioni, in molte culture, è ancora vista come qualcosa di impuro, debole, fino a toccare i tratti dell’isterico.

Se facciamo un passo indietro vediamo che secondo gli antichi romani una donna mestruata era in grado di far marcire i raccolti solo con uno sguardo. E nel medioevo il sangue mestruale era catalogato come veleno.

Millenni di narrazioni distorte hanno lasciato un segno che portiamo ancora oggi sulla nostra pelle e di cui paghiamo ancora le conseguenze.

Storicamente, quindi, il ciclo mestruale è dipinto anche come qualcosa “pericoloso” o “contagioso”: i testi religiosi tradizionali proibiscono a chi ha il ciclo di cucinare, entrare nei luoghi sacri e toccare determinati oggetti.

Recentemente, possiamo guardare alla pubblicità: per anni i brand più famosi di prodotti mestruali hanno preferito usare un liquido blu, come sostituto al rosso: il riferimento sarebbe stato “troppo” forte.

Anche questo è nascondere e trasmettere il messaggio che le mestruazioni sono reali, lo sappiamo bene, ma nessuno deve darlo a vedere.

Dobbiamo alla pubblicità anche eufemismi comequei giorni”, “ospiti” e rappresentazioni tutt’altro che reali dove il ciclo mestruale è nascosto o sminuito sotto un velo di ipocrisia.

Questo importante bagaglio rende la vita con le mestruazioni uno stigma.

Tutto questo silenzio educa alla vergogna e alimenta l’idea che il corpo debba essere nascosto, corretto, silenziato.

Il silenzio che fa più male delle mestruazioni stesse

Cosa accade quando il problema si estende ben oltre?

Quando né la famiglia né la scuola possono offrire un aiuto concreto?

Molte persone crescono senza una reale educazione mestruale.

La scuola è impreparata ad affrontare la gestione della mestruazioni: si parla pochissimo del ciclo e spesso solo alle ragazze, mentre i ragazzi vengono lasciati fuori come se non avessero nulla a che fare con l’argomento.

Più che a figure adulte e competenti, l’argomento viene lasciato nelle mani stesse degli alunni: accade durante l’autogestione, spesso dopo aver trattato la sessualità, un qualcosa che attira la maggioranza degli studenti.

Sono rarissimi i casi di scuole che hanno installato distributori di assorbenti, ma al bisogno si attiva solo la rete di compagne che possono accorrere in aiuto.

Non è prevista l’assenza per malattia per chi soffre di dolori mestruali invalidanti.

La famiglia, a sua volta, vive questa parte dell’educazione con imbarazzo e trasmette solo il necessario in modo approssimativo.

Il risultato sono generazioni e generazioni che imparano a sentirsi in difetto per qualcosa di perfettamente naturale, che sentono di non poter parlare, di doversi nascondere e sopportare in silenzio.

Chi mestrua si sente obbligat* a nascondere assorbenti, per non urtare la sensibilità altrui: ma sappiamo tutti che le persone di genere femminile sanguinano per almeno cinque giorni al mese, perché deve essere nascosto?

Al fianco dell* giovan* arrivano TikTok, Instagram e meme online: un’educazione tutt’altro che istituzionale e sottoposta a schemi.

A volte può risultare molto utile, altre invece solo leggera e ironica. Ma la domanda resta: davvero dobbiamo imparare ciò che riguarda il nostro corpo con i creator?

Gli effetti di questo “problema culturale” sono reali e li scontiamo ogni giorno sulla nostra pelle.

E tutto questo, perché? Perché ci hanno insegnato chenon sta bene parlarne”.

Educazione, normalizzazione, liberazione

Mestruazione e vergogna

Quel che possiamo fare concretamente per superare lo stigma è educare, normalizzare e liberarci dei tabù: parlare del ciclo mestruale in modo aperto e consapevole è il primo passo per abbattere stereotipi e smettere di nasconderci.

L’educazione deve far parte in modo costante della scuola, della famiglia, dei social, dei media.

Serve che tutt* — tutte le persone, non solo quelle con le mestruazioni — abbiano a disposizione informazioni corrette, chiare, e soprattutto senza vergogna.

Usare un linguaggio semplice, diretto, senza cadere in eufemismi ridicoli: non meritiamo di continuare a nasconderci dietro a “quei giorni lì”, “il marchese rosso”, “l’inquilino temporaneo”.

Si chiamano mestruazioni. Non è una parolaccia, non è una colpa se ce le abbiamo, non è un problema se non lo rendiamo tale.

Cosa posso fare io nel mio piccolo?”, ti starai chiedendo. Non servono rivoluzioni in grande stile, parti da piccoli gesti quotidiani che possono fare realmente la differenza.

Usare le parole giuste è già un punto di partenza per dare dignità all’esperienza mestruale e per costruire un nuovo immaginario, libero da stigma.

Ecco come fare:

  • Nominalo senza imbarazzo → dire “ho il ciclo mestruale” dovrebbe essere normale come dire “ho mal di testa”.
  • Normalizzalo nelle conversazioni → tra amic*, con i partner, in famiglia.
  • Offri aiuto: vedi una persona che ha bisogno? Offrile il tuo aiuto, quando trovi le attività “lascia se puoi, prendi se hai necessità” partecipa e dai una mano.
  • Supporta chi ne parla → creator, progetti educativi, campagne di sensibilizzazione.
  • Partecipa alla conversazione → condividi la tua esperienza, le tue difficoltà, i tuoi pensieri quando emerge l’argomento.
  • Scegli consapevolmente → ci sono tanti prodotti diversi (assorbenti, coppette, mutande assorbenti, tamponi...). Informati e scegli cosa fa per te.

Il tuo corpo non è un tabù

Il problema non è il ciclo mestruale, ma è come lo trattiamo.

Smettiamo di considerarlo una debolezza, una vergogna e questo permetterà già un piccolo cambio culturale. Le mestruazioni sono una parte naturale e potente dell’esperienza corporea.

Le mestruazioni sono parte della vita, riguardano la salute, la maggioranza delle persone si trova a viverle ogni mese: meritiamo di farlo con rispetto, informazione e serenità.

Liberarsi dal tabù mestruale significa reclamare il diritto di conoscersi, di parlare di sé, di vivere il proprio corpo senza colpa. Significa costruire un mondo in cui tutte le esperienze siano riconosciute, rispettate e raccontate. Un mondo dove la vergogna non ha più spazio, e l’autodeterminazione diventa la nuova normalità.

Parlarne è il primo passo. Rompere il silenzio, il secondo.

E poi? Poi, cambia tutto!

Articolo scritto da Arianna Trabalzini.

articolo a cura di

Arianna Trabalzini

Content Creator

Arianna trabalzini

Arianna Trabalzini, laureata in Comunicazione è una Social Media Manager e Content Creator. Attraverso i suoi canali social, racconta la sua esperienza sensibilizzando sulla salute intima e le malattie invisibili. Il suo approccio empatico e informato mira a promuovere una maggiore consapevolezza e benessere sessuale.